lunedì 6 settembre 2010

TUTTI I FIGLI E LE FIGLIE DI DIO HANNO LE ALI









Nel cammino di una comunità cristiana esiste un centro solo: la ricerca incessante di camminare sulla via del Vangelo.

Le “strutture”, i ministeri e le modalità organizzative esistono solo in funzione di questo obiettivo. Esse, se non si vive fuori dai processi storici e se la comunità è viva, cambiano con il tempo, sono per natura in continua evoluzione. Nei vari scritti del Secondo Testamento incontriamo la testimonianza di gruppi e di comunità che si strutturano in modo assai diverso.

L’istituzione cattolica è andata in direzione opposta, non solo dividendo il popolo di Dio in “chierici” e “laici”, ma costruendo un modello piramidale, gerarchico, patriarcale. Anziché promuovere una multiforme ministerialità, ha tentato e tenta oggi più che mai di “clericalizzare i laici”, cioè di ridurre o costruire delle forme ministeriali sempre più vicine e subalterne al “modello sacerdotale”, di far rientrare tutto nell’ordine clericale. I preti così, anziché presbiteri e pastori, sono “sacerdoti” addetti al sacro.

Mille volte ho ribadito nei miei scritti questi percorsi storici e teologici che nemmeno il Concilio Vaticano II riuscì a mettere radicalmente in discussione.

La ricerca biblica e teologica, anche in seno alla chiesa cattolica, ha continuato a dimostrare l’infondatezza di tale impostazione, ma l’apparato ufficiale si è chiuso a riccio riconfermando la propria sacralità.

La “chiesa di base”, nelle sue varie articolazioni, ha costantemente promosso ed esperimentato una ministerialità diffusa, multiforme, condivisa.

Talune comunità (quasi tutte in verità sono nate “sotto la spinta” di un prete-pastore o addirittura di un sacerdote ufficialmente riconosciuto) sono davvero cresciute nella corresponsabilità. Là dove la comunità si è organizzata come comunità cristiana di base con 10-20 persone, questa condivisione piena della “conduzione” della comunità sembra, sia pure in pochi casi, davvero riuscita e costituisce un evento teologico positivo. Altrove la comunità si è lentamente ridotta fino ad un gruppetto di fratelli e sorelle che continuano a riconoscersi nel movimento delle comunità cristiane di base italiane e a vivere intensamente il messaggio del regno di Dio nella vita d’ogni giorno.

Nelle comunità cristiane di base più ampie e più note (che non vuol dire né migliori né più importanti), a mio avviso, l’interrogativo spesso è ancora irrisolto o non condiviso.

Nella mia comunità, come in alcune altre, la lenta ma reale crescita di corresponsabilità ha progressivamente modificato l’esercizio dei ministeri. Per un gruppo di fratelli e sorelle la “figura” del prete è diventata superflua e non c’è più bisogno del suo specifico ministero “pastorale”. Questo fatto viene così vissuto come una “conquista” della comunità stessa, come un dono di Dio, come un faticoso e gioioso cammino comunitario, una chiamata al rinnovamento, un invito a crescere ulteriormente nella corresponsabilità.

In parecchi fratelli e sorelle (e per i molti/e che cercano ancora espressamente il prete, talvolta il sacerdote) mi sembra di vedere pesanti perplessità. Solo il futuro darà risposta ad alcuni interrogativi, ma oggi è importante tentare vie nuove. Purchè siano davvero nuove.

Quanto a me, debbo anche alla comunità l’aiuto nel passaggio da “sacerdote” a “prete-pastore”. Diventare superfluo è stato il mio obiettivo costantemente cercato e perseguito. In questi anni ho attuato una serie di “passi indietro” anche perché, dopo quasi 40 anni di ministero pastorale nella stessa comunità, è “insano” continuare con lo stesso “ruolo”, come ho più volte scritto. Posso continuare la mia esperienza comunitaria,  come uno dei membri di questa comunità.

Ma vedo bene questa prospettiva anche perché mi permette di continuare a “fare il prete” per chi ne ha ancora bisogno. E sono davvero molti i gruppi e le comunità che mi richiedono un costante ministero pastorale e soffro nel dover dire tanti no per il troppo tempo dedicato alla mia comunità.

Pur da vecchietto e per giunta malaticcio, continuo a sentire la vocazione e la passione di dedicare il ministero a chi vive o cerca di vivere come “cristiano/a senza chiesa”. Esiste, infatti, una “chiesa senza istituzione ecclesiastica”, costituita da quell’immenso numero di persone che, rifiutate o scandalizzate dalla realtà ecclesiastica ufficiale, cercano in qualche modo il volto di un Dio dell’amore fuori dai “contenitori” dogmatici e moralistici, ma non hanno punti di riferimento.

Questo popolo di Dio è disperso in mille periferie, in percorsi accidentati di uomini e donne del volontariato, dell’associazionismo, spesso bollati come eretici, contro natura, sovente costretti a nascondere idee ed affetti, spesso nell’angoscia di una solitudine infinita, tanto da sentirsi abbandonati.

In questo oceano, in questo variegato territorio cerco ancora, finchè Dio vorrà, di scoprire con meraviglia i segni del regno di Dio e di farmi piccolo operaio nel campo di Dio.

Il bello delle nostre vite – finchè ci è dato – sta proprio in questa possibilità di vivere relazioni di amore solidale in mille modi differenti. Le nostre diverse esperienze comunitarie hanno senso, a mio avviso, se ci aiutano a vivere stabilmente dentro questa carovana degli “appiedati/e” e ci stimolano a rinnovare continuamente le modalità del nostro piccolo impegno nel ricevere e dare compagnia.

Il “successo” di ogni ministero consiste nel suo essere “provvisorio”, con lo scopo sempre ben presente di operare in modo che le persone lentamente imparino a camminare in totale autonomia. E’ ciò che, per dono di Dio, succede in tante persone “disperse” nel mondo, il più delle volte senza la possibilità di una comunità locale. A me interessa soprattutto servire questa comunità dispersa , fatta di un numero immenso di donne e di uomini che cercano una mano amica che li accompagni nei primi passi sul sentiero di Gesù. Questa è la priorità che oggi avverto. Accompagnare finchè le persone si reggano sulle proprie gambe. E’ l’evento che ha dato più senso,più fatica e più gioia al mio ministero:dare una mano, segnalare strumenti, accendere il fuoco e poi lasciare la presa perchè tutti i figli e le figlie di Dio hanno le ali per volare in libertà.Questo è il "miracolo" che continuo a constatare con meraviglia nella mia vita e di cui benedico Dio ogni giorno.

Spero così che la mia mutata presenza nella vita comunitaria possa offrire uno stimolo alla ulteriore crescita di responsabilità.
Del resto nel lavoro quotidiano in gruppi, associazioni, parrocchie e comunità, come nell'ascolto delle persone e nel lavoro in rete, percepisco che la ricerca del Dio di Gesù, del Dio "al di là di ogni religione" è sempre più diffusa e sempre più profonda e seria.L'interrogativo sulla presenza di Dio dentro la realtà della vita e di tutto il creato, il senso delle Scritture e lo scoglio dei dogmi costituiscono terreni in cui oggi ritengo essenziale pormi in compagnia di ricerca con migliaia di persone che incontro, regalo di Dio sul mio piccolo sentiero.
                      don Franco Barbero