lunedì 24 novembre 2014

L'amaca

Le peripezie del sindaco Marino e della sua Panda rossa, qualunque sia l'esito delle investigazioni mediatiche in Corso, è l'ulteriore dimostrazione del punto di non ritorno raggiunto nei rapporti tra eletti ed elettori. E' ovviamente rilevante stabilire se l'utilitaria privata del sindaco avesse o non avesse le carte in regola per accedere a questa o quella zona. Ma fa amaramente riflettere sapere che se Marino, come un'infinità di altri sindaci e uomini delle istituzioni, si fosse servito di un'auto di servizio, oggi non sarebbe coinvolto in questo pasticcio.
Per rinunciare a un privilegio in odore di ″casta″ (l'uso di una macchina e di un autista a carico del Comune, come tutti i sindaci di tutte le capitali europee) il sindaco di Roma si è messo nelle condizioni di dover seminare telecamere, accampare scuse e rintracciare scartoffie. Si fosse comodamente adagiato nella prassi, per altro del tutto legale, di farsi assistere e accudire proprio come se fosse il sindaco, non rischierebbe di affogare nel bicchier d'acqua dove lo costringono ad annaspare il puntiglio mediatico e il malumore popolare. Intere stirpi di politici, prima di Marino, hanno vissuto beatamente nello scialo e nell'ipertutela. Ora il conto viene presentato a chi arriva dopo di loro, a casse dello Stato sfasciate, e pretende di girare per Roma come un romano qualunque. Multe comprese.
Michele Serra

(Repubblica 15 novembre)