sabato 14 febbraio 2015

“Il Diario di Guantanamo racconta”

«Spero che l'Italia legga "Guantanamo Diary", si renda conto delle colpe del governo americano, e aiuti a chiudere il carcere». Mohamedou Ould Slahi, autore del libro che è diventato il caso del momento negli Usa, lancia questo appello attraverso Nancy Hollander, l'avvocatessa che lo difende dal 2005. Slahi, un ingegnere elettronico di 44 anni originario della Mauritania, è detenuto nella base sull'isola di Cuba dal 2002. E' accusato di aver fatto parte di al Qaeda, anche se nel 2010 il giudice federale James Robertson aveva disposto il suo rilascio.
Come è nata l'idea del libro e come siete riusciti a pubblicarlo?
«Mohamedou - dice la Hollander - ha cominciato subito a tenere un diario. Per pubblicarlo però ci sono voluti sei anni di dispute legali, perché tutto quello che diceva era classificato. Alla fine il governo si è rassegnato, perché le sue denunce erano diventate pubbliche nei procedimenti legali, e ha consentito la stampa del libro con pesanti cancellazioni della censura».
Slahi ha fatto parte di al Qaeda?
«Era un'altra al Qaeda. Lui andò in Afghanistan per combattere l'occupazione sovietica, e il governo che Mosca aveva lasciato dopo il ritiro. Era una lotta appoggiata anche dagli Usa. Quando quel governo cadde andò via, e non ha più avuto che contatti con l'organizzazione che poi ha colpito l'11 settembre del 2001».
Nel novembre del 1999 ospitò nella sua casa in Germania Ramzi bin al Shib, accusato di essere un organizzatore dell'attacco alle Torri Gemelle. Perché?
«Si erano conosciuti tramite altri, e parlarono della jihad in Afghanistan, vista l'esperienza fatta laggiù da Mohamedou».
Possibile che non sapesse chi era bin al Shib e cosa preparava?
«L'incontro avvenne due anni prima degli attentati, allora neanche bin al Shib sapeva che sarebbero avvenuti».
Dopo quella serata Slahi si traferì in Canada, dove frequentava la stessa moschea di Ahmed Ressam, arrestato con l'accusa di aver preparato il Millennium Plot contro l'aeroporto di Los Angeles.
«Il tribunale ha riconosciuto che non frequentavano la moschea nello stesso tempo, e Ressam non ha citato Mohamedou tra i 150 complici di quella operazione».
A Guantanamo è stato torturato?
«E' stato detenuto a tempo indeterminato, picchiato al punto di rompergli le ossa, sottoposto a finte esecuzioni e abusi sessuali. Una sera lo misero su una barca incappucciato per colpirlo, e gli dissero che la madre era stata arresta e portata a Guantanamo. Queste sono torture, secondo la Convenzione che le vieta».
Cosa sperate di ottenere?
Un giudice ha già disposto il suo rilascio, ma il governo ha fatto appello. E' innocente, chiediamo che venga liberato. Obama dovrebbe smettere di fare ricorsi contro le scarcerazioni, rilasciare chi è stato riconosciuto innocente, processare gli altri, e chiudere il carcere».
Non è ovvio temere che Slahi, liberato, torni con al Qaeda?
Non ha nulla a che fare con questa organizzazione ora»
Paolo Mastrolilli

(La Stampa 9 febbraio)