mercoledì 11 novembre 2015

Il lento suicidio di Israele

Con lo sguardo lungo si vede meglio quando è ini­ziato il cam­mino d'Israele verso il sui­ci­dio: è iniziato 20 anni fa, il 4 novem­bre 1995, con l'assassinio di Rabin per mano di un ebreo estre­mi­sta. Il mese prima era­vamo al Ver­tice di Amman: le parole di Rabin e dei lea­der pale­sti­nesi lascia­vano pre­sa­gire com­pro­messi immi­nenti e riso­lu­tivi. Incon­trai Rabin un'ultima volta a cena: i suoi occhi di un azzurro intenso, ogni volta che ti fis­sa­vano infon­de­vano fidu­cia e un senso di visione. «La pace si nego­zia con i nemici - ripe­teva con forza - e la faremo ad ogni costo». Ad ogni costo? A lui costò la vita: quei tre colpi di pistola - quasi una rie­di­zione di quelli spa­rati a Sara­jevo - chiu­sero la prima porta verso la pace.
Poi fu un seguito di occa­sioni spre­cate. Marzo 2002, al Ver­tice della Lega Araba a Bei­rut vedemmo il re sau­dita pre­sen­tare un piano di pace impec­ca­bile, accet­tato da tutti mem­bri della Lega Araba. Ecco, final­mente ci siamo - pen­savo io - ma Tel Aviv la pen­sava diver­sa­mente. Gen­naio 2006, elezioni in Pale­stina e vit­to­ria di Hamas a Gaza: Israele spinse Usa e Ue a disco­no­scerne i risul­tati, ben­ché gli osser­va­tori inter­na­zio­nali con­fer­mas­sero che le ele­zioni si erano svolte senza bro­gli. Il resto del mondo iro­niz­zava: demo­cra­zia à la carte? Luglio 2006, Tsa­hal seminò di morte mezzo Libano per eli­mi­nare Hez­bol­lah e i suoi razzi arti­gia­nali; oggi Hez­bol­lah pos­siede mis­sili a lunga git­tata (altro che razzi!) in grado di col­pire mezzo Israele. E poi 2008, 2009, 2012, 2014: Tsa­hal mar­tellò Gaza nel ten­ta­tivo di eli­mi­nare razzi, tun­nel e capi di Hamas (quel par­tito che Israele stesso aveva aiu­tato a nascere per desta­bi­liz­zare al-Fatah), al prezzo di migliaia di vit­time civili, senza pietà verso feriti e rifu­giati negli ospe­dali e nelle scuole dell'Unrwa. A che pro? Per farsi condannare dall'ONU un'ennesima volta e istil­lare nuova linfa nella resi­stenza pale­sti­nese. Ecco, infatti, la Terza Inti­fada. Chi viag­gia oggi­giorno in Ter­ra­santa non trova trac­cia dello spi­rito ideale dei kib­butz, incro­cia piut­to­sto gruppi di orto­dossi che ti squa­drano con occhiate lam­peg­gianti di fana­ti­smo; e se cam­mini di sabato nei loro quar­tieri puoi bec­carti anche qual­che sas­sata. Forte della sua mag­gio­ranza alla Knes­set, Neta­nyahu con­duce len­ta­mente il Paese al suicidio invi­tando ebrei inva­sati ad occu­pare terre non loro, ren­dendo impos­si­bile la solu­zione dei due Stati, invi­tando i suoi con­cit­ta­dini ad armarsi, eri­gendo muri su muri, umi­liando i pale­sti­nesi mode­rati… e lo stesso Obama davanti al Con­gresso. Soste­nendo infine (lui figlio di uno sto­rico!) che il pro­getto dell'Olocausto fu ispi­rato a Hitler dal Gran Mufti di Geru­sa­lemme. Quos Deus vult per­dere, dementat prius. È pro­prio vero: a coloro che vuol rovi­nare, Dio toglie anzi­tutto la ragione. Identificare il popolo ebraico con lo Stato israe­liano fini­sce per «giu­sti­fi­care» - in una logica uguale e con­tra­ria - il dilagare dell'antisemitismo in Europa. E pre­sto anche in Ame­rica. Già ora gran parte dei Democratici, che un tempo erano i più osse­quienti alle «ragioni» d'Israele, hanno preso le distanze. Lo stesso Obama, un tipo in genere assai calmo, ha perso le staffe più volte. Memo­ra­bile lo scam­bio di bat­tute fuori onda con Sar­kozy al G20 di Can­nes nel 2011: «Non ne posso più di Neta­nyahu, è un bugiardo!» aveva bisbi­gliato Sar­kozy; e Obama di rimando: «Lo dici a me che devo trat­tare ogni giorno con lui?».
I sio­ni­sti ame­ri­cani che vedono in Israele la rea­liz­za­zione in terra delle pro­fe­zie bibli­che - tipi come il pastore John Hagee, fac­cia e stazza texana, che bene­diva i raid israe­liani con pre­di­che ispi­rate («L'umanità verrà giu­di­cata per le sue azioni nei riguardi d'Israele») - sareb­bero capaci con pari fana­ti­smo di riab­brac­ciare l'antico anti­se­mi­ti­smo se un giorno si risve­glias­sero con que­sta domanda: pos­si­bile che un pic­colo Stato stra­niero tenga in scacco da mezzo secolo la super-potenza del mondo? Non per niente Israele si guarda bene dal seguire gli altri 123 mem­bri dell'Onu che hanno ade­rito alla Corte Penale Inter­na­zio­nale: per­ché il suo obiet­tivo non è di accet­tare la sfida nei processi, bensì di star fuori dai pro­cessi (per­ciò Ber­lu­sconi faceva il tifo per Neta­nyahu). L'occupazione mili­tare sta met­tendo in peri­colo la sicu­rezza stessa che dovrebbe tute­lare. E le destre euro­pee e ame­ri­cane, per­si­stendo a garan­tire l'impunità ad Israele, stanno in realtà scavandogli la fossa: l'ha capito prima degli altri l'ex-presidente della Knes­set, Avra­ham Burg, quando ha scon­giu­rato di "sal­vare Israele da se stesso".
Giuseppe Cassini

(Il Manifesto 4 novembre)