domenica 29 novembre 2015

Seminario di Pax Christi
Cappellani militari senza stellette?

A due giorni dall'inizio del V Convegno della Chiesa cattolica italiana, nella Casa della Pace, a Firenze, si è svolto un interessante incontro che ha visto dialogare don Enrico Pirrotta, colonnello cappellano militare, in rappresentanza dell'Ordinariato, e don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. Il seminario si è aperto con le domande anticipate nell'invito: come conciliare Vangelo e stellette? Coscienza e ordini militari e di guerra? Si può benedire la guerra? Perché una diocesi militare?
Il tema è stato subito inquadrato nel contesto storico attuale, alla luce delle recenti parole rivolte da papa Francesco agli stessi cappellani militari - quando ha sostenuto che la guerra va abolita - e della sua reiterata denuncia dello stato di guerra in cui ci troviamo, nonché della intollerabilità delle spese e del commercio delle armi (nel mondo si spendono a questo scopo circa 2.000 miliardi di dollari e in Italia circa 25).
E' stato quindi sottolineato come in Italia, in virtù del Concordato, esista una Chiesa militare, con i suoi circa 160 cappellani, tutti ufficiali delle Forze Armate, con un Ordinario militare, generale di divisione, i quali ricevono dallo Stato i lauti stipendi e pensioni previsti per gli alti gradi (dai 2.000 ai 9.000 euro). Come si e arrivati a ciò? Come non ricordare che ai primi cristiani, a maggior ragione se presbiteri, era proibito servire in armi l'imperatore?
Il prof Marco Giovannoni, che insegna Storia della Chiesa presso l'istituto di Scienze Religiose di Arezzo, ha chiarito, con un rapido excursus storico, che si sono succedute e intrecciate tre modalità di comportamento in merito alla pace: la testimonianza, come quella dei primi cristiani o degli attuali obiettori di coscienza; il tradimento, quello delle crociate e di quanti esaltano la guerra, oggi in particolare dei terroristi dell'Isis; e infine la mediazione, che ha iniziato a manifestarsi nel '500 con il diritto di guerra di Francisco de Vitoria ed oggi faticosamente portata avanti dall'Onu. «La pace mediata non è la pace tradita», ha affermato, aggiungendo che oggi si è accorciata la distanza tra pace testimoniata e mediata e che in questo senso occorre sostenere il tentativo della Santa Sede di elaborare un nuovo ius contra bellum, non abbandonando lo ius in bello e circoscrivendo al massimo lo ius ad bellum, dato che purtroppo il diritto internazionale si fonda strutturalmente sulla guerra.
La parte più vivace della giornata è stata però il dibattito cordiale ma molto franco tra Pirrotta e Sacco, sostenuto da una platea piuttosto schierata a difesa della testimonianza pacifica e nonviolenta. Il coordinatore di Pax Christi ha subito chiarito che l'associazione, fin dall'inizio della sua storia, non ha mai messo in discussione la presenza della Chiesa tra i militari, ma con sempre maggiore persuasione ha contestato la militarizzazione dei cappellani. Perché devono portare le stellette? Perché non una presenza come quella dei sacerdoti negli ospedali e nelle carceri, che non diventano dottori o guardie carcerarie? Perché costituire una diocesi apposita, detta castrense, quale l'Ordinariato militare? O meglio, perché non delegare la pastorale per i militari alle diocesi in cui si trovano le caserme? Come può un sacerdote annunciare il Vangelo, ha chiesto infine don Sacco, se deve rispondere a una logica di comando; e come può chiedere a un militare di disobbedire a un ordine ingiusto e in contrasto con l'etica cristiana?
Don Pirrotta ha replicato affermando che la mediazione non è tradimento e che ognuno è chiamato a rispondere della sua vita con retta coscienza e massima dedizione.
Quanto alla questione della militarizzazione del prete, il cappellano ha difeso le ragioni dell'esistenza della struttura denominata Chiesa militare e quindi la sua convinta appartenenza ad essa. «Essere "fuori"», ha detto, «significa "non esserci"». Pur consapevole che la guerra è una follia - come dice papa Francesco e affermava già papa Giovanni XXIII (bellum alienum a ratione) - ha affermato che non c'è altro modo per portare il messaggio evangelico nel mondo militare. E che, pur essendo vincolati dal giuramento di fedeltà all'istituzione, non ci si sente parte del mondo militare: infatti non si portano armi. E si è in pace, perché obbedienti alla Chiesa che prevede tale servizio al mondo militare.
Un seminario, dunque, che al di la delle buone intenzioni ha confermato la diversità di opinioni e posizioni. Molti interventi hanno sottolineato che annunciare Cristo - mite, pacifico e non-violento - è inconciliabile non solo con la guerra, ma anche con la stessa appartenenza ad una struttura come quella militare, tanto più nella situazione attuale, in cui non esiste più un esercito di leva, ma solo di professionisti. L'istituzione stessa dell`Ordinariato militare - come hanno profeticamente chiarito don Milani, p. Balducci e don Tonino Bello - significa un appoggio simbolico alle armi.
L'incontro ha sicuramente segnato una tappa importante nel cammino di dialogo e di confronto, che dovrebbe però ora continuare in e con tutta la Chiesa, durante e dopo il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, al quale tra l'altro Pax Christi ha fatto pervenire un documento in cui si chiede un impegno contro la guerra, contro una finanza mondiale sempre più asservita dalla logica delle armi, e infine la smilitarizzazione dei cappellani militari, se si vuole veramente un nuovo umanesimo in Cristo.

Fabrizio Truini, saggista già presidente del Cipax, già responsabile delle rubriche religiose di Raiuno

(Adista n.40, 21 novembre)