mercoledì 7 dicembre 2016

Dal precetto alla memoria

Vorrei aggiungere alcune annotazioni, sempre in tema di memoria biblica, circa la progressiva perdita di significato della domenica, come giorno del Signore e giorno della donna e dell'uomo. Vorrei dire che l'idolo dell'economia sta mangiandosi anche il riposo della domenica.
Pochi anni fa la conferenza episcopale tedesca e la chiesa evangelica dello stesso paese hanno elaborato e pubblicato un documento comune su «La nostra responsabilità nei confronti della domenica». Questa dichiarazione congiunta dapprima si sofferma, con una certa acutezza, sull'analisi dei fattori che minacciano la domenica. In un secondo momento essa tenta di approfondire il significato della domenica per i cristiani. Infine presenta alcune linee operative che nascono da questa affermazione: «La santificazione della domenica è ricordare e prendere coscienza del senso del nostro esistere, è il nostro volgerci a Dio, nostro Creatore e nostro fine.
Dobbiamo di nuovo salvare un tempo maggiore per noi stessi e per gli altri. Questo non è solo un problema di condizioni esterne, ma anche di capacità di giudizio e di determinazione da parte nostra: non possiamo derubare noi stessi della domenica». Ma io vorrei tentare, un po' a ruota libera, di insistere su alcuni particolari.

1) Certo, «il sabato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato» (Marco 2,27). Reggersi su un precetto o su un adempimento legalistico sarebbe davvero tradire il nucleo della nostra fede. Nessuno di noi può, però, limitarsi a rifiutare il precetto (che, del resto, non va confuso con la mentalità precettistica). Forse per riscoprire la nostra domenica, con la sua continuità e la sua novità, occorre partire dal sabato ebraico-giudaico. «È nel sabato ed attraverso il sabato che gli uomini conoscono la realtà in cui vivono e che essi stessi sono in quanto creati da Dio...È appunto il sabato a farci capire il mondo come creazione...Stando alle tradizioni bibliche, creazione e sabato vanno intesi come strettamente collegati: non è possibile comprendere correttamente il mondo nel suo carattere di creazione senza avvertire la realtà del sabato...» (J. Moltmann).
È nel sabato, giorno in cui si riposa dal lavoro e si fa memoria delle opere di Dio, che può avvenire la continua riscoperta del legame che ci unisce al Creatore, che può essere riattivata la comunione creaturale. Il sabato (e per noi cristiani la domenica) alimenta quella «semplicità» che ci aiuta a mettere tutta la vita al cospetto di Dio. Secondo un'antica leggenda, nel sabato brilla una luce Speciale che permette all'uomo «di scorgere il mondo con uno sguardo solo» (A.J .Heschel), unificatore.

2) Forse noi abbiamo spesso meditato la polemica di Gesù contro il legalismo asfissiante delle osservanze, ma oggi rischiamo di appellarci a Gesù senza fondamento alcuno se liquidiamo la celebrazione del giorno del Signore semplicemente perché siamo sopraffatti da mille giostre degli affari o trattenuti dai circuiti narcisistici di certo effimero.
Il sabato nell'Antico Testamento viene spesso messo in relazione con l'Esodo e il cammino di liberazione. Siamo gente dalla memoria corta e sbiadita, ed abbiamo bisogno di «ricordare» che Dio continua ancora a liberare il mondo come ai giorni della schiavitù in Egitto. In un recentissimo volume (Capacità di futuro, Queriniana) il teologo J. B. Metz descrive il «bombardamento» schiavizzante che seppellisce la libertà del soggetto e la suadente operazione che mira a colonizzare e conquistare i cuori. La cultura vincente è quella «adattiva» per cui siamo educati più alla resa che non alla resistenza. La memoria di Dio, ci dice ancora Metz, «è una forza rivoluzionaria che anche oggi ci fa parlare ancora di umanità e solidarietà, di alienazione, di oppressione e liberazione e ci fa lottare contro l'ingiustizia. C'è bisogno di un cristianesimo sveglio, assolutamente critico nei confronti della società, che si comprenda come comunità di memoria e di racconto nell'unica e indivisa sequela di Gesù» (pag.143). Nessuno può entrare nel cuore degli altri, ma il ricordo-memoria di Dio costituisce per me un profondo rinvio al ricordo-impegno per l'uomo.

3) Che cos'è il nostro radunarci in assemblea di credenti? Non è forse un «benedire Dio» partendo dal racconto delle sue opere, del suo amore? Quando partecipo ad una celebrazione o apro la Bibbia, mi rivedo nei panni della cerva assetata che anela e corre verso le sorgenti d'acqua. Qualcuno potrà arricciare il naso, ma è proprio fuori luogo parlare di una «disciplina del giorno del Signore?» Per me spontaneità e disciplina non stanno in contrapposizione. Il cristiano che non riduce la festa alla vacanza forse potrà riscoprire la gioia del trovarsi in una comunità di uomini e donne che insieme dedicano del tempo per lodare Dio e attingere da lui la forza per un cammino veramente umano ed evangelico.
Si fa presto insomma a buttar via un precetto,  ed è buona cosa, ma come andare oltre? Si tratta di riscoprire la centralità della memoria di quel Gesù che, incompreso e ucciso, Dio ha risuscitato. Mi ritornano alla mente le parole di Tertulliano al riguardo: «Noi (per celebrare il giorno del Signore) rimandiamo anche gli affari a più tardi...».

4) Se qualche lettore troverà voglia e tempo, prenda la Bibbia tra le mani e la apra al capitolo 4 del libro di Giosuè. È una pagina stupenda che, letta e riletta mille volte, mi commuove sempre fino alle lacrime e mi apre alla preghiera. Viene comandato al popolo, che Dio sostiene nel cammino di liberazione, di prendere dodici grosse pietre - una per tribù - e di portarle con sé oltre il Giordano. Perché «costringere» il popolo già stanco a questa fatica? Quando camminerete e quando sosterete, queste pietre vi ricorderanno che il Signore vi ha liberati!
Portare una memoria vivificante (e non soltanto delle tradizioni o delle reliquie) significa assumere una responsabilità. Il fare memoria è insieme fatica e gioia. Il suo frutto è la liberazione, è la consapevolezza che Dio libera ancora noi e gli altri.

Franco Barbero