lunedì 30 gennaio 2017

Il “cristianesimo pentecostale” venduto a Trump

Qual è il Dio di Trump? È un Dio così americano che risulta indecifrabile dall'Europa? È un Dio - o meglio un Tele-Dio - costruito sul "prosperity Gospel", quello che insegna che il "financial blessing" è prova di grazia e che chi dona alla chiesa diventa più ricco, e dunque asimmetrico rispetto alla tradizione delle grandi chiese? O è il Dio del vangelo, presente nella carne di quel Lazzaro - citato negli auguri del Papa a Trump - la cui miseria giudicherà chi è stato sordo alla privazione del povero?
Il discorso inaugurale del presidente ha in gran parte risposto a queste domande. Ed era prevedibile che fosse così: da sempre il momento di assunzione dell'ufficio di presidente degli Stati Uniti è carico di segni religiosi cristiani - dalla Bibbia su cui si consuma il giuramento, alla benedizione pronunciata da un'autorità religiosa. E dunque obbliga il presidente ad un definitivo posizionarsi sul problema spirituale.
Tuttavia, nemmeno parlando di Dio, Trump è rimasto nel solco di un cerimoniale che ha sempre supplicato "God bless America", ma che stavolta più che chiedere sembrava ordinare al Padreterno di adeguarsi alla nuova ideologia della "America first".
Il Dio di Trump appariva in controluce già nella preghiera di Paula White, prima donna a pronunciare la benedizione di rito. Capo di una megachiesa pentecostale, da quindici anni direttrice spirituale di Trump, la pastora White era stata protagonista nel 2015 della "unzione" di Trump candidato fatta insieme a Kenneth e Gloria Copeland, a David Jeremiah e Jan Crouch: gesto che ci può far per ora sorridere, nomi che da noi dicono poco. Ma che rappresentano bene l'ala marciante "evangelical" che sta cambiando la fisionomia di quello che un tempo si chiamava protestantesimo.
La pastora, nella società pluralista per eccellenza, ha spiegato nei minimi dettagli a Dio cosa deve fare per il presidente, il vice "e le loro famiglie" e per il Paese. Definita ora eretica ora una ciarlatana antitrinitaria dal protestantesimo "mainstream" e da importanti settori del cattolicesimo, Paula White ha citato il libro dei Proverbi e la retorica dell'America come dono di Dio (agli americani): su cui s'è innestato il cuore "religioso" del discorso di ieri e il palesarsi del Dio di Trump.
Il Dio di Trump, dopo quello caldo e predicatorio di Obama, è stato presentato come il garante di un privilegio americano, di un diritto al comando ottenuto torcendo il salmo 133. «Com'è buono, com'è soave che i fratelli abitino insieme», dice quel breve poema che consola una piccola minoranza di pii israeliti, e che è stato usato anche dai cristiani dentro una visione universalista della fraternità umana.
Trump, invece, ha corretto il testo salmico e ha spiegato che «la Bibbia» insegna quanto «sia buono e soave» (e fin qui è il salmo) «quando il popolo di Dio vive insieme in unità». Fra la coabitazione fraterna e l'autoproclamazione di sé come popolo di Dio ci passa una forzatura banale. Trump ha rivendicato all'America il compito di "popolo eletto", portatore di una specie di teologia della singolarità globale. L'eccezionalismo americano, un tempo usato per giustificare il dovere di difendere le libertà nel mondo, Trump l'ha usato per difendersi dal mondo della libertà.
Il popolo americano inteso come "il" popolo di Dio non è una entità politica ma una comunità mistica di destino. E - ha detto il presidente - ha due protettori: il primo è la forza, dell'esercito e della polizia; l'altro è proprio Dio, detto per secondo, perché più funzionale ad una unità che non passa dalle istituzioni, ma dai simboli e dal popolo.
Accanto a questa torsione Trump ha introdotto un Dio del Sangue, che quando viene invocato viene sempre esaudito. Il presidente ha esaltato la mistica del Sangue dei patrioti - sempre rosso, nella prosa trumpiana - e da lì ha derivato una distinzione all'interno della creazione stessa.
In uno dei passaggi finali, infatti, ha detto che l'unità del nuovo «popolo eletto» è dovuta al fatto che i bambini di Detroit o del Nebraska hanno sopra di sé lo stesso cielo notturno, sognano col cuore gli stessi sogni e hanno ricevuto il «respiro vitale» dallo stesso «creatore onnipotente»: il che è concettualmente irricevibile dall'antropologia biblica. Perché quel cielo notturno, quei sogni e quel respiro non sono diversi per i bambini del mondo rispetto ai bambini americani.
Ma è evidente che nella foga elettoralistica c'è già una politica "religiosa". E in queste torsioni teologiche c'è una prima durissima risposta a Francesco che ieri richiamando la «famiglia umana», i «ricchi valori spirituali ed etici» della storia americana, la dignità dell'uomo e del povero Lazzaro aveva voluto marcare una distanza anche teologica: "prosperity Gospel" contro "cattolicesimo del vangelo": siamo ai primi minuti di un duello che sarà duro.
Alberto Melloni

(la Repubblica 21 gennaio)