domenica 22 gennaio 2017

Il pensatore ribelle tra gli eretici del Cinquecento

Ci sono pochi storici che hanno legato il proprio nome a un intero campo di studi, da loro non solo indagato ma addirittura reimpostato, e anzi, per così dire, forgiato. Tra questi pochi e anzi pochissimi – si pensi a Franco Venturi per le ricerche sull'Illuminismo o a Renzo De Felice per gli studi sul Fascismo – c'è senz'altro Delio Cantimori, le cui ricerche sugli eretici nel primo Cinquecento hanno fondato tanta parte degli studi di storia religiosa italiana della prima età moderna.
MOLTO OPPORTUNAMENTE perciò, in occasione del cinquantenario della morte, la Scuola Normale di Pisa ha scelto di onorarne la figura, valorizzando i materiali autografi depositati nell'Archivio Cantimori, conservato presso quella prestigiosa istituzione, e offrendoli agli studiosi e al pubblico in un prezioso volume curato da un'equipe di studiosi coordinata da Daniele Menozzi (Delio Cantimori, (1904-1966), Libri, documenti e immagini dai fondi della Scuola Normale Superiore, a cura di Daniele Menozzi e Francesco Torchiani, Edizioni della Normale, pp. 128, euro 15).
L'IDEA CHE GUIDA l'iniziativa è quella di restituire una rappresentazione biografica articolata e «mossa» di Cantimori come storico, intellettuale impegnato, saggista, polemista, collaboratore editoriale e maestro di generazioni di studiosi.
Lettere, appunti, disegni, fotografie offrono del percorso intellettuale di Cantimori una visione slargata, che risulta particolarmente apprezzabile in quanto, dopo un periodo di forte interesse per la sua figura (spesso condizionato dal tormentato itinerario politico di ex fascista divenuto comunista per poi uscire dal Pci dopo i fatti di Ungheria) si nota negli ultimi anni una sorta di caduta di attenzione. La lettura di queste pagine, invece, offre non pochi stimoli per un ripensamento di una figura-chiave della cultura italiana dei decenni centrali del secolo scorso, la cui leggendaria autorevolezza risulta qui ribadita: i suoi pareri editoriali alle celebri riunioni del mercoledì in Einaudi non suscitavano discussioni ma erano sempre accolti come definitivi: «Ascoltato in silenzio l'oracolo, Einaudi mi indica le nuove questioni da sottoporti – racconta in una lettera Giulio Bollati – e non succede altro».
MA SOPRATTUTTO queste pagine offrono importanti suggestioni sul radicamento territoriale nella formazione di chi sarà poi celebre «storico, di perseguitati, di utopisti, di ribelli». Nato in una famiglia romagnola di chiare tradizioni mazziniane, Cantimori appare assai consapevole dell'influenza di una terra dove si «nasce con un mazzo di carte da gioco in mano, un bicchiere di vino nell'altra, e la politica in bocca».
Sicché tra eretici cinquecenteschi e utopisti e riformatori settecenteschi, gli interessi di Cantimori corrono lungo un crinale che è in verità tutto politico, e che ruota attorno al tormentoso e irrisolto problema del rapporto tra l'intellettuale e il potere, tra il fedele e la sua chiesa. Sicché non stupisce davvero l'acredine delle sue ultime parole: «Non voglio morire né come cattolico né come cristiano, né come membro di nessuna chiesa o confessione o setta religiosa… Detto, pensato, scritto e sottoscritto: Delio Cantimori».
Francesco Benigno

(Il Manifesto 3 gennaio)