lunedì 20 febbraio 2017

Il Vaticano sulle diocesi: poche le denunce

«Negli Stati Uniti oggi sono più preparati. Non coprono perché hanno dovuto pagare cause milionarie. É stato anche grazie alle denunce che hanno capito - e meno male, dico io - la gravità del loro atteggiamento, l'ingiustizia che legittimavano. In Italia, purtroppo, ancora molto dipende da vescovo a vescovo. Ci sono quelli che denunciano sempre i casi, e altri che invece sono meno preparati e, non sapendo come gestirli, tendono a silenziare. Non lo fanno malevolmente, ma per inesperienza. In ogni caso, va detto anche che i casi italiani sono in proporzione meno di quelli americani». L'alto prelato Vaticano chiede di restare anonimo, ma, in sintesi, spiega a Repubblica l'"anomalia" italiana. E continua: «Certo, ritengo che sarebbe necessario l'obbligo di denuncia, mantenendo ovviamente la privacy delle persone coinvolte. In alcuni Paesi è obbligatoria, in Italia no! Ma al di là di quanto prevede la legge, sarebbe buona cosa una dichiarazione chiara in merito da parte dei vertici della Chiesa».
Anche se l'Italia non ha i numeri statunitensi ben evidenziati in Spotlight, le vittime della pedofilia esistono anche da noi, e, con loro, i predatori. Spesso dietro chi abusa c'è una curia inesperta, incapace di giudicare, di fare luce. Questa, in fondo, è la storia di don Mauro Inzoli, il sacerdote legato a Comunione e Liberazione che è stato ritenuto colpevole di otto episodi di abusi, mentre un'altra quindicina è andata prescritta. Nessuno intorno a lui ha mai detto nulla. E, anzi, le stesse vittime hanno trovato il coraggio di parlare solo dopo un lungo e sofferto percorso.
Molti di questi casi italiani li mette in fila Emiliano Fittipaldi. In Lussuria racconta come «negli ultimi due lustri, contando solo i condannati e gli indagati, sono oltre 200 i sacerdoti italiani denunciati per atti di lussuria con adolescenti». In Calabria, vicino a Reggio, c'è don Antonello Tropea, già padre spirituale del seminario di Oppido Mamertina, che nel marzo del 2015 viene trovato dalla polizia in un'auto con un diciassettenne conosciuto grazie alla app Grindr usata per incontri gay. Venti euro il costo della prestazione del ragazzo. Scrive Fittipaldi: indagato per prostituzione minorile, il don continua a fare il prete, confidandosi di tanto in tanto con il suo vescovo, monsignor Francesco Milito. "Evita di parlare con i carabinieri di questa cose", gli suggerisce il superiore, senza sapere di essere ascoltato».
A Ostuni, c'è Franco Legrottaglie, condannato nel 2000 per atti di libidine violenta su due ragazzine, mai sfiorato da processi e in seguito designato nel 2010 dal vescovo cappellano dell'ospedale e prete in una chiesa del passe. Poi c'è don Siro Invernizzi, che nel 2013 è stato mandato dal vescovo di Como a fare il viceparroco a Cugliate, vicino a Varese, nonostante i due anni con la condizionale patteggiati per aver approcciato in strada un ragazzino rom di tredici anni che si prostituiva. Vicende tristi e dolorose. Ma forse evitabili se l'obbligo di denuncia divenisse prassi per tutti i vescovi.
Paolo Rodari

(la Repubblica 8 febbraio)