mercoledì 20 settembre 2017

Gerusalemme est tra sgombri e mega colonie

Gerusalemme. «Sheikh Jarrah è in Palestina» scandivano le centinaia di manifestanti con striscioni e cartelli scritti in ebraico ed arabo che ieri hanno attraversato Sheikh Jarrah, nella zona palestinese (Est) della città. In gran parte ebrei. Il caso della famiglia palestinese Shamasneh, sgomberata qualche giorno fa con l'intervento della polizia dalla sua abitazione ha rilanciato l'impegno contro l'occupazione delle case arabe da parte dei coloni israeliani.
Cortei come quello di ieri non si vedevano da tempo anche se gruppetti di attivisti hanno mantenuto sempre un presidio settimanale a Sheikh Jarrah dove nel 2009 le famiglie al Kurd, Ghawi e Hanoun - 60 persone, tra i quali anziani e bambini - furono cacciate via dai coloni arrivati sull'uscio delle loro abitazioni a reclamare «le loro proprietà».
E questo è stato il destino degli Shamasneh, otto persone tra nonni, figli e nipoti. «Abbiamo lottato per nulla» ci dice rassegnata Fahamiya Shamasneh, 75 anni, «ringrazio chi ci vuole aiutare ma sappiamo che nessuno costringerà i coloni a lasciare la nostra casa. Comanda Israele».
Accanto a lei, malato e costretto su una sedia rotelle, c'è il marito Ayoub, 84 anni. Le sue condizioni di salute non hanno fermato lo sgombero. Gli Shamasneh ieri hanno partecipato con decine di persone alla preghiera islamica del venerdì organizzata vicino alla loro abitazione.
C'erano anche esponenti di varie forze politiche palestinesi ma la loro presenza non è servita a confortarli.
Israele proclama con enfasi l'unità di tutta Gerusalemme, est ed ovest, sotto la sua autorità. Ma la sua legge guarda ai residenti israeliani e palestinesi della città santa in modo opposto quando sul tavolo ci sono antiche proprietà. La casa degli Shamasneh fu costruita, secondo la sentenza dei giudici, su terra appartenente ad ebrei prima della nascita di Israele.
Sotto la dominazione giordana a Gerusalemme Est, dal 1948 al 1967, fu affittata alla famiglia Shamasneh e la legge israeliana consente agli antichi proprietari di poter reclamare i beni immobiliari di prima del 1948. E i coloni grazie all'aiuto dell'Israel Land Fund, legato alla destra ultranazionalista, hanno acquistato la casa dai vecchi proprietari.
Questa legge potrebbe apparire fondata su principi di giustizia e invece contiene una profonda discriminazione: si applica solo alle proprietà reclamate dagli israeliani. I palestinesi non possono fare altrettanto con le loro abitazioni, costruite prima del 1948, situate in quella che oggi è la zona ebraica, ovest, di Gerusalemme.
Quelle case, svariate centinaia, spesso lussuose e che oggi valgono milioni di euro, furono confiscate dopo il 1948 dal neonato Stato di Israele e vendute a cittadini ebrei.
L'ultimo sgombero avvenuto a Sheikh Jarrah sta però dimostrando anche i limiti della mobilitazione popolare palestinese a Gerusalemme, capace di innescarsi subito per motivi religiosi – lo si è visto lo scorso luglio dopo l'introduzione da parte di Israele di nuove misure di controllo sulla Spianata delle moschee – e di essere limitata e incostante su temi altrettanto decisivi come l'occupazione o la demolizione delle case.
A Sheikh Jarrah altre sei famiglie palestinesi hanno ricevuto ordini di evacuazione entro 30 giorni e secondo i dati dell'Onu almeno 180 famiglie palestinesi sono a rischio concreto di espulsione dalla loro case. E domani le autorità israeliane discuteranno della possibile costruzione di 176 alloggi per coloni a Jabal al Mukaber. Sarebbe l'insediamento israeliano più grande costruito all'interno di un quartiere o sobborgo palestinese di Gerusalemme.
Michele Giorgio

(Il Manifesto 9 settembre)