martedì 19 settembre 2017

"Se non cambiamo, disastri sempre più forti"

PRIMA Harvey poi Irma: un uno-due micidiale che ancora non ha esaurito il suo effetto. E, mentre la Florida è in attesa del colpo in arrivo, altri due uragani sono già in pista, pronti a continuare l'assalto agli Stati Uniti. Disastri che eravamo abituati a fronteggiare nel corso di anni si concentrano in pochi giorni. Come è possibile?
«Per trovare la risposta bisogna guardare all'acqua, non all'aria», risponde Lucka Kajfež Bogataj, la climatologa di Lubiana che nel 2007 è stata fra i tre membri dell'Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) che hanno ritirato il Nobel per la pace per la lotta contro il cambiamento climatico. «Gli uragani cominciano a svilupparsi quando la temperatura del mare raggiunge i 28 gradi. A quel punto l'evaporazione cresce: l'energia e l'umidità in gioco aumentano, i venti diventano più forti, le piogge si gonfiano».
Questa però è la dinamica classica della formazione degli uragani. Cosa è cambiato oggi?
«Un conto è avere oceani che raggiungono a fatica i 28 gradi, un conto è registrare picchi di oltre 30 gradi. La situazione degli oceani è cambiata radicalmente in tempi troppo rapidi e l'aumento della temperatura dei mari, che è stato di circa un grado, ha moltiplicato l'intensità dei fenomeni meteo estremi. Così la stagione degli uragani è diventata più lunga e l'area interessata si è allargata: gli uragani durano di più perché la superficie di oceano anomalmente caldo che li sostiene si è allargata. Invece di spegnersi rapidamente una volta arrivati sulla costa inondano l'entroterra».
È la prima volta che si registra una concentrazione così minacciosa di uragani?
«Si parla di stagione degli uragani proprio perché si concentrano in un periodo relativamente ristretto. Ma finora pochi raggiungevano una forza preoccupante. Nel caso di Irma invece l'umidità è cresciuta del 7 per cento e le piogge del 14 per cento. La novità sta qui. Se nei Caraibi nel giro di pochi giorni nascono quattro uragani che si esauriscono con pochi danni nessuno se ne accorge. Se già i primi due di questi quattro uragani raggiungono una potenza devastante e per di più colpiscono una delle regioni più ricche del mondo arrivano i titoloni in prima pagina».
Ignorare una simile catena di disastri sarebbe difficile. Tra l'altro una delle ville a rischio è quella dell'inquilino della Casa Bianca che ha negato l'esistenza di una minaccia climatica.
«E siamo solo all'inizio. Quello che sta accadendo sulle coste degli Stati Uniti è un fenomeno perfettamente in linea con le previsioni che l'Intergovernamental Panel in Climate Change ha formulato in cinque rapporti. Negli stessi giorni in cui Harvey e Irma gettavano nel panico gli Usa, si sono contate oltre mille vittime in India e in Nepal a causa di monsoni di eccezionale violenza».
Per le stesse cause?
«L'aumento di intensità dei fenomeni estremi è legato alla crescita rapidissima della concentrazione di CO2 in atmosfera, che ormai è arrivata a 410 parti per milione. Se non riusciremo a tagliare in modo rapido e radicale le emissioni di gas serra, l'aumento di temperatura sarà 3 o 4 volte più alto di quello che stiamo sperimentando ora, e l'entità dei disastri aumenterà in proporzione. Anche in Europa».
Che però non è investita dagli uragani.
«Si è registrato un primo caso in Portogallo e il fenomeno potrebbe ripetersi. Ma il fatto più allarmante è la serie continua di minimi storici che si stanno registrando nella banchisa del Polo Nord. Oltretutto la ritirata del pack cambia l'albedo: il mare è più scuro del ghiaccio e quindi assorbe più calore creando un feedback positivo, cioè un moltiplicatore del riscaldamento in corso. E' una destabilizzazione climatica che porterà a lunghi periodi di siccità alternati con periodi di piogge intense e devastanti».
Antonio Cianciullo

(la Repubblica 9 settembre)