domenica 10 dicembre 2017

Il lusso nel vuoto dell'altro Myanmar viaggio nella città fantasma dei militari

Nay Pyi Taw. La chiamano «ghost town», la città fantasma, attuale capitale del Myanmar. Estesa quattro volte tanto Londra, secondo i numeri forniti dal governo non ha che un ottavo dei suoi abitanti, sotto il milione. Ma in molti nel Paese sono pronti a scommettere che la cifra sia da ritoccare, e di molto, al ribasso. Ieri, all'arrivo del Papa, era completamente deserta: enormi strade separate da aiuole curate nei minimi dettagli e completamente desolate. E così, assicurano i pochi abitanti, è tutto l'anno.
Nulla in confronto al caos di Rangoon, l'ex capitale.
Si chiama Nay Pyi Taw, che significa «sede dei re», ed è stata costruita dal nulla dai militari nel 2005 senza fornire spiegazioni alla popolazione.
Anzi, a essa i militari pare abbiano offerto vantaggiosi contributi per trasferirsi ma in pochissimi avrebbero risposto «sì». Una versione, questa, che tuttavia non collima con quanto alcune fonti governative hanno lasciato trapelare: il motivo della mancanza di residenti sarebbe legato più che altro al fatto che avere una capitale vuota lascia più tranquillo lo stesso governo: se non c'è la popolazione, non possono esserci insurrezioni popolari. Nay Pyi Taw sorge a 320 chilometri a Nord di Rangoon, sulle rive del lago Shan, fra risaie, campi di canna da zucchero e foreste in parte inesplorate. Nonostante i lussuosi hotel, spesso deserti, in pochi hanno potuto visitarla da cima a fondo. Ai giornalisti occidentali entrati in questi anni nel Paese, in particolare, l'accesso è stato quasi sempre negato. Impossibile poi, a parte l'eccezione avvenuta ieri grazie all'arrivo di Francesco, accedere al palazzo presidenziale, un vero e proprio fortino a prova di colpo di Stato. Circondato da un fossato profondissimo largo centinaia di metri, è collegato al resto della città da dei ponti che all'occorrenza si possono ritirare per isolare l'edificio completamente da tutto e da tutti. Le immense strade che lo circondano – anche con dieci corsie per senso di marcia – sono state studiate così larghe apposta per permettere in caso di emergenze l'atterraggio e il decollo di aerei militari.
Il palazzo presidenziale è la sede dell'esecutivo e la residenza del capo di Stato e governo. Al suo interno vi sono almeno cento stanze, pulitissime ma quasi del tutto inutilizzate. Sul davanti c'è un'immensa facciata con un pronao costituito da alte colonne scanalate bianche e decorate con finiture dorate in corrispondenza dei capitelli.
Prima del grande fossato, prati verdi all'inglese sui quali gli stivaletti dei militari camminano senza fare alcun rumore.
Costata almeno quattro miliardi di dollari, la città è un insieme di strade sempre vuote, che collegano imponenti gruppi di edifici presidenziali. Ci sono anche molti alberghi con Spa e campi da golf, ristoranti extralusso. Ma non c'è anima viva. Pochissime le abitazioni visibili. In giro, soltanto un grande senso di vuoto e di tristezza. Passeggiarvi è un'esperienza unica e, insieme, difficile da rendere a parole.
In una zona centrale è stata costruita la Grande Pagoda Uppatasanti, replica della Shwedagon Pagoda di Rangoon, soltanto di trenta centimetri più bassa. Conserva all'interno un dente di Buddha. Il prominente spiazzo d'entrata è sempre sostanzialmente vuoto, nulla in confronto al brulichio di pellegrini che affollano la circonferenza del grande centro religioso di Rangoon.
Un'esperienza impagabile è l'arrivo all'aeroporto internazionale della città.
Immensi spazi con soffice moquette quasi mai calpestata. I duty-free e altri negozi sono sempre aperti. Dentro soltanto i commessi in perenne attesa.
Paolo Rodari

(la Repubblica  29 novembre)