venerdì 19 gennaio 2018

Gallo "Il problema è quando si esce perché pochi riescono a trovare una occupazione"

Monica Gallo è la garante dei detenuti del carcere Lorusso e Cutugno di Torino. E fino al 2015 è stata la responsabile di "Fumne", un progetto di lavoro all'interno della struttura detentiva: in sei anni una settantina di donne ha realizzato, dentro le Vallette, borse, accessori, capi di abbigliamento artigianali, poi vendute all'esterno.

Quale valore ha il lavoro per chi vive in carcere?
«È fondamentale: tutti i detenuti vogliono lavorare perché consente loro di avere soldi, da spendere all'interno e soprattutto da mandare ai famigliari. Lavorare occupa il tempo e tiene le persone fuori dalle celle. E soprattutto dà la possibilità ai detenuti di mettersi alla prova, per vedere se esiste per loro la possibilità di tirarsi fuori dal circuito delinquenziale».
Chi lavora in carcere, riesce poi ad avere un'occupazione al termine della pena?
«Non sempre succede. Per chi lavora nelle cooperative in carcere che hanno anche una sede esterna, è più facile che il rapporto di lavoro prosegua. Negli altri casi, che poi sono la maggior parte, il collegamento funziona poco. E tutto ciò che si è fatto all'interno, la formazione professionale, la qualifica e il lavoro, finisce per disperdersi. In questa società per un ex detenuto, pur qualificato, non è facile ottenere un impiego».
Come funziona la selezione dei detenuti lavoratori?
«Prima di tutto serve un progetto di attività. Se il carcere lo approva, inizia un percorso di scelta delle persone da coinvolgere. Lo si fa insieme agli educatori, che meglio di chiunque altro conoscono le storie dei detenuti e anche le loro capacità. Si fanno contratti di assunzione normali, in base alle leggi nazionali per le categorie professionali, e chi lavora viene pagato con regolare busta paga.
Diverse sono le attività gestite dall'amministrazione penitenziaria, quelle che una volta si chiamavano orrendamente, "scopino" o "spesino". Questi vengono svolti a rotazione, in modo da consentire a tutti di guadagnare qualcosa».
Che giudizio dà sul progetto della fabbrica tessile nel carcere di Biella?
«Insieme all'esperienza di Padova, dove dal carcere si gestisce il call center delle prenotazione dell'azienda sanitaria, il progetto di Biella è senz'altro la punta di diamante di uno sforzo che dovrebbe coinvolgere tutte le strutture di detenzione. Sia per qualità dell'investimento, sia per il numero di persone che coinvolge.
Anche a Torino ci sono progetti di lavoro, ma ancora troppo limitati. Su 1300 detenuti, meno di 50 hanno un lavoro
». (mc. g.)

(la Repubblica 5 gennaio 2018)