Corso
Biblico. Torino, 09.03.2018.
II
libro di Samuele.
(Appunti
presi durante la conferenza di don Franco Barbero).
La
sezione che va dal capitolo 2 al capitolo 8 (ma per l'esegesi più
recente si estende fino al capitolo 12) tratta dell'ascesa di Davide
al trono e dell'inizio del suo regno. E' una narrazione di alti e
bassi, di vittorie e di miserie di Israele e di David, il grande re
di cui non si nascondono le manchevolezze. Viene da ricordare a
proposito di questa parte della Bibbia l'ammonimento del grande
esegeta Erich Zengler in “Il primo testamento”, ed. Queriniana, a
non cercare nei vari libri della Bibbia un centro, come spesso in
ambiente cristiano si usa fare; al contrario, per gli Ebrei Dio solo
è il centro. Nessuno è al centro della Scrittura (nemmeno Gesù) e
per non travisare il messaggio biblico occorre evitare la ricerca di
un centro, perchè la Bibbia propone non un centro attorno al quale
girare, ma un cammino da percorrere, attraverso panorami differenti,
momenti sublimi e momenti di grande degrado morale, così come si
presenta la vita umana. Si tratta di un profondo insegnamento
culturale e teologico.
Al
capitolo 2 Davide viene unto re della casa di Davide da parte degli
anziani della tribù (e non da un sacerdote, come avvenne per Saul):
la sua ascesa è limitata alla sua tribù e non a tutto il popolo di
Israele. Ma subito sorgono contrasti interni: Abner, capo
dell'esercito di Saul si oppone a Davide e costituisce re di Israele
Is-Baal, uno dei figli di Saul; tra le due parti sorge un conflitto
cruento che occupa i capitoli da 2 a 4. Riecheggiano qui le antiche
contese tribali dove i capi tribù (che qui vengono pomposamente
chiamati “re” si fronteggiano per la conquista di un lembo di
preziosa terra in battaglie sanguinose, dove non c'è pietà per gli
sconfitti (si veda la descrizione della battaglia di Gabaon, 2, 12 –
32), dove si susseguono i tradimenti (Abner prima tradisce Davide (2,
8-10), poi entra in conflitto con Is-Baal (3, 6-11) e passa dalla
parte di Davide) e le vendette (come l'assassinio di Is-Baal
descritto al capitolo 4).
Alcuni
esegeti come Alessandro Sacchi, si chiedono come è possibile che la
monarchia di Israele sia stata benedetta da Dio pur essendo sorta su
una storia di nefandezze come quella qui descritta. Oppure ci si può
chiedere per quale motivo i misfatti avvenuti, dei quali non è
esente neppure Davide, non siano stati censurati dal redattore del
libro. La redazione finale del testo è stata fatta infatti in un
tempo di molto posteriore a quello in cui sono avvenuti i fatti
descritti, in periodo post esilico, quando la monarchia era già da
tempo caduta ed era chiaro il suo fallimento.
Il
messaggio che il redattore vuole trasmettere è che la benedizione di
Dio non viene mai meno nonostante il putridume delle cose umane. Si
potrebbe dire che la benedizione divina passa attraverso la graticola
degli errori degli uomini. Gli autori non hanno voluto nascondere
nemmeno le peggiori atrocità per conservare la memoria storica ad
ammonimento delle generazioni future.
Anche
il grande re Davide si è macchiato di infamie (come si vedrà
soprattutto nel successivo episodio dell'uccisione di Uria per
impadronirsi della moglie Betsabea). Né mancano momenti in cui
Davide usa
il nome di Dio per propri interessi, come quando lancia la
maledizione contro Ioab che aveva ucciso per vendetta il capo
dell'esercito Abner (3,29). Questa è una delle tante manipolazioni
di Dio fatte ad uso del potere umano, una trasgressione del
comandamento di non nominare il nome di Dio invano.
L'assassinio
di Is Baal, il rivale di Davide, descritto nel capitolo 4 apre la
possibilità per Davide di diventare re di tutto Israele: ancora una
volta l'ascesa al potere richiede l'eliminazione del nemico.
Nel
capitolo 5 si descrive l'investitura di Davide, avvenuta anche questa
volta dal basso, attraverso l'intervento degli anziani di Israele
(5,3). Davide viene unto re ad Ebron, ma successivamente trasferisce
la sua residenza a Gerusalemme. Questo trasferimento comporta lo
scontro con nuovi nemici, prima i Gebusei e poi i Filistei, ai quali
Israele contende la terra. I Gebusei respingono Davide utilizzando un
proverbio del luogo: “i ciechi e gli zoppi ti respingeranno” per
indicare che tutto il popolo, anche le persone più insignificanti,
sarà concorde a respingere l'intrusione nemica. I ciechi e gli zoppi
erano al tempo considerati sospetti a causa della loro infermità, e
perciò emarginati dalla società. Davide stermina prima i Gebusei e
poi i Filistei. Vengono usate espressioni come “Davide andava
sempre più crescendo in potenza e il Signore, Dio degli eserciti,
era con lui” (5,10) o la voce del Signore che dice a Davide:
“certamente metterò i Filistei nelle tue mani” (5, 19) che
verranno usate nelle crociate per giustificare la conquista violenta
dei luoghi sacri.
Il
capitolo
6 narra il trasferimento dell'Arca a Gerusalemme, ormai denominata
“città di Davide” con particolari per noi sconcertanti, come la
morte di Uzzà, colpevole di aver toccato l'arca, violando il divieto
divino, anche se il motivo del suo gesto era di voler evitare che
l'Arca cadesse al vacillare del convoglio (6, 6-7). La sacralità
dell'Arca, che comporta la sua intoccabilità, deriva dal fatto che
l'Arca, luogo della presenza del Signore, condensa anche tutta la
memoria del popolo di Israele, memoria del passato che deve essere
rispettata e non va in nessun modo manomessa; da ciò la maledizione
per quelli che osano manipolarla. Va notato come, a seguito
dell'episodio, Davide abbia paura del Signore (6,9). La cerimonia del
trasporto dell'Arca viene descritta anche dal primo libro delle
Cronache (15, 25 – 29); il ripetersi dei medesimi fatti è
frequente nei libri storici e deriva dal fatto che le notizie
venivano tratte dagli annali di corte che erano tenuti dai vari
regni, ciascuno dei quali ha conservato le sue memorie, secondo il
proprio punto di vista.
Al
capitolo 7 il clima si fa più disteso: il re si è stabilito nella
sua casa e il Signore gli dà “riposo da tutti i suoi nemici
all'intorno”(7, 1). Ma sorge il problema della casa del Signore,
che abita in una tenda mentre il re in una lussuosa abitazione di
cedro. Davide esprime il desiderio di costruire una casa degna per il
Signore. Ma con una risposta di alto valore teologico il Signore
obietta di non avere bisogno di una casa e ribalta la domanda: sarà
lui che costruirà una casa per il re e per Israele. E' un severo
monito a non voler imbalsamare Dio in un luogo o in una categoria
come se fosse umano. La risposta di Dio conferma la benedizione su
Davide e sul popolo eletto (7, 8 – 17) con espressioni di grande
tenerezza e promette pace e prosperità permanenti. Purtroppo queste
espressioni si prestano ad essere interpretate in modo
fondamentalista e così lo sono state e lo sono tuttora. Quando la
benedizione diventa privilegio l'elezione viene intesa non come una
chiamata alla responsabilità, ma in modo esclusivista, si travisa il
messaggio biblico autentico, che va invece inteso in senso
universalistico: la terra è benedizione di Dio per tutti gli uomini
e non privilegio di una religione; il compito di conservare e salvare
il creato è di tutti, va oltre tutte le religioni. Un esempio chiaro
di atteggiamento universalistico e non esclusivista verso il creato è
il Cantico delle creature di San Francesco che è un appello alla
cura del creato ed alla responsabilità al di là di ogni
appartenenza religiosa.
Nel
capitolo 8 ritorna il clima violento dei conflitti e delle guerre
combattute da Davide contro vari nemici, ma al capitolo 9 riappare il
volto misericordioso di Davide, che accoglie alla sua mensa e
beneficia un israelita zoppo di entrambi i piedi e quindi un reietto
della società di allora. Questa alternanza di crudeltà e e di
tenerezza, di spietatezza e di misericordia rispecchia l'intenzione
del redattore di non nascondere gli aspetti oscuri della realtà
umana ed i limiti della monarchia. I commentatori più avvertiti,
come ad esempio il Von Rad, sostengono che in queste narrazioni vi è
una “intrusione profetica” che si affianca alla celebrazione
della regalità con richiami alla fedeltà ed alla responsabilità.
Questi richiami profetici, che si ispirano agli ammonimento dei
grandi profeti come Isaia e Geremia, sono mescolati alla descrizione
impietosa dei tradimenti e delle infedeltà umane e costituiscono il
messaggio autentico della Scrittura, ma non sono sempre evidenti e
vanno ricercate con una lettura attenta e non superficiale. Guido Allice