mercoledì 5 aprile 2017

"Siamo preti sposati la Chiesa ci emargina ora il Papa ci ascolti"



ROMA. «Chiediamo un rinnovamento profondo della Chiesa, che preveda la possibilità di un doppio binario per i preti celibi e per i preti sposati come noi. Siamo riuniti in cinquanta qui a Roma, ma solo in Italia siamo circa quattromila, quasi centomila nel mondo. Vogliamo una riammissione totale nella vita della Chiesa. Tra le nostre fila ci sono teologi, biblisti, psicologi. Siamo risorse oggi di fatto relegate in posizione marginale».
Rosario Mocciaro, sacerdote siciliano, è sposato civilmente dal 1977 con Elena Inguaggiato. È tra i fondatori di "Vocatio", un movimento che vuole sensibilizzare la Chiesa e la società riguardo al problema dei preti sposati. In questi giorni gli aderenti si sono riuniti a Roma, per confrontarsi e chiedere aiuto a Francesco. E per la prima volta un vescovo, Giovanni D'Ercole di Ascoli, ha accolto l'invito a celebrare per loro l'eucaristia. Racconta Mocciaro: «Abbiamo tanto da dare. Non siamo sprovveduti. Nel rito cattolico orientale i preti sposati sono ammessi. Da noi, per una legge ecclesiastica che stride col Vangelo, non è possibile. Eppure possiamo ancora dare tanto. Ci auguriamo che un numero crescente di vescovi ci consenta anche in forme diverse l'esercizio del ministero, l'amministrazione dei sacramenti che, seppure illeciti, restano sempre validi».
Mocciaro, trasferitosi anni fa a Roma per motivi di studio, conobbe Elena sui banchi della Sapienza. Da sempre contrario all'obbligo del celibato, iniziò a frequentarla. Fino alla decisione di sposarla. La Chiesa l'ha ridotto allo stato laicale, ma lui, nella comunità di base di San Paolo, ha continuato ogni tanto a celebrare messa. «Di per sé, durante una qualsiasi messa, possiamo concelebrare anche restando seduti fra i fedeli - dice - e se richiesto, anche a confessare.
«Se qualcuno mi chiede di potersi confessare io non posso esimermi - spiega Giovanni Monteasi, presidente di "Vocatio", "spretato" dal 1983, un figlio e una vita lavorativa spesa nella formazione professionale - Dopo che mi sposai lavorai in Regione. Un giorno un collega entrò nel mio ufficio e mi chiese se potevo confessarlo. Gli dissi di sì. Anche se sono ridotto allo stato laicale resto sempre sacerdote».
Monteasi spiega di non essere contro il celibato, ma «per la libertà di scelta: i preti dovrebbero avere la possibilità di scegliere se sposarsi o no». Quando conobbe Annamaria, sua attuale moglie, era parroco a Napoli. Lei gli disse: «Non voglio vivere nella clandestinità, essere la tua concubina. O ci sposiamo o non se ne fa nulla fra noi». Monteasi non ci pensò due volte. Annunciò in parrocchia l'addio e si spostò a Sessa Aurunca. «Ebbi la fortuna che vescovo della diocesi era Raffaele Nogaro. Mi diede diversi incarichi in diocesi. E più volte mi fece celebrare messa con lui davanti a tutti ».
«L'obbligo del celibato è in stridente contrasto con i diritti della natura e con l'etica evangelica, che la castità consigliava ma non imponeva», disse nel lontano 1788 il cardinale Giuseppe Capecelatro. «Il primo Papa, san Pietro, era ammogliato», ripeteva in anni recenti il cardinale belga Léon-Joseph Suenens. Voci fuori dal coro, oggi di fatto inascoltate. Anche se Francesco ha recentemente detto di voler studiare la possibilità dei viri probati, uomini sposati di provata fede a cui affidare alcune funzioni sacerdotali. Nella Chiesa, con l'eccezione del rito orientale, la prassi che si è imposta a partire dal Concilio di Trento è di ordinare sacerdoti solo candidati celibi. Chi sgarra, chi in sostanza s'innamora e decide di non vivere il suo amore nella clandestinità, è di fatto "espulso", ridotto allo stato laicale.
Anche Adriana Valerio, teologa, sposata con un sacerdote, è presente al convegno romano. Per lei il punto è il rapporto fra donne e preti, «un amore irrisolto », dice. Di fatto «per il clero le donne sono invisibili, non appaiono nei momenti istituzionali, nei piani di studi dei seminari, nei libri che studiano. E non appaiono quando ci sono le posizioni più positive e l'impegno più alto». Dal Concilio di Trento in poi, il rapporto con le donne è relegato alla clandestinità. E ancora: «Il prete si è sentito al centro della scena per dirigere, coordinare, guidare, amministrare, governare, controllare, sentirsi importante, riconosciuto, riverito, ossequiato. Mentre occorrerebbe cambiare la prospettiva far sì che le donne non siano in relazioni asimmetriche, non più al servizio. Occorre dare loro riconoscimento e visibilità».
Paolo Rodari

(la Repubblica 25 marzo)